RACCONTO

Sport, danza e cucina: tra tradizione e disciplina

Ho il primo ricordo dello sport credo all’età di quattro anni, quando facevo ginnastica artistica, poi ritmica, perché adoravo ballare, e alla fine a cinque anni arrivai alla danza classica.

Negli anni della crescita passai un po’ da tutti gli sport di moda negli anni Ottanta, come atletica leggera, equitazione, tennis, nuoto (con peli strappati dai pettorali dell’istruttore per paura di affogare), pallavolo, ma  senza mai interrompere la danza. Ero una delle bambine super attive che mia madre, molto preoccupata, cercava di stancare per evitare lei l’esaurimento.

Ma la danza era l’unica disciplina che non mi stancava mai, un po’ perché ero portata – dicevano –,

ma soprattutto perché ero una bambina introversa (oggi è difficile crederlo), che nella danza trovava il suo canale di comunicazione non verbale molto liberatorio.

Danzavo ovunque, a casa, a scuola di danza, studiavo la teoria sui libri, disegnavo le posizioni e i port de bras sui quaderni, e mi ipnotizzavo di fronte alla tv, consumando videocassette di balletti di repertorio classico.

La danza in ogni sua sfaccettatura e disciplina, come la contemporanea, jazz, flamenco, afro e altre che provai negli anni, mi aiutò in tutto il percorso di crescita, con la severità nel darmi regole, orari, ordine, capelli ordinati – nelle foto dell’asilo risultavo essere sempre l’unica bambina che non si lasciava pettinare. La disciplina con me stessa e gi obiettivi da raggiungere mi consentirono di entrare in confidenza con il mio cuore e il mio corpo, esprimendo tutte le emozioni che non riuscivo a tirar fuori a parole.

Fu inconsapevolmente il mio canale di comunicazione principale, fino a diventare una ballerina professionista a teatro, un’insegnante di propedeutica alla danza classica, per i bambini, una donna di 19 anni.

A quell’età uscii di casa, e mi resi conto che non riuscivo a mantenermi. Fui costretta ad abbandonare la danza professionale e lavorare come impiegata, per coprire la classica lista delle spese come affitto, bollette, spesa, dandomi regole e disciplina anche fuori dal mio mondo liberatorio della danza.

La mia vita cambiò radicalmente, diventai grande. Nonostante tutto cercai di ritagliare sempre un minimo di tempo utile per sfogarmi nello sport, per tenermi in forma e soprattutto continuare a volermi bene. Mi lanciai quindi in sport amatoriali come fitness e pesi, rendendomi conto che mi dava benessere fisico ma non risolutivo in termini di comunicazione non verbale.

Ancora oggi lo sport appartiene alla mia vita come una valvola di sfogo e coccola personale, come lo yoga o le attività all’aria aperta, il mio canale di comunicazione non verbale, mancante da quanto avevo abbandonato la danza, è tornato attraverso le mie radici, in cucina.

Oggi riesco a vivere la cucina come la danza, scegliendo materie prime che abbiano un legame con le mie radici, utilizzando in parte ricette della tradizione o delle mie esperienze di vita, e vivendo la disciplina e i processi di trasformazione come se fosse un balletto di repertorio classico, utilizzando il mio lavoro come canale di comunicazione non verbale estremamente liberatorio.

Ricordiamo che le nostre radici, attraverso le ricette che abbiamo incamerato dalle nonne, dalle mamme e dai familiari che abbiamo avuto intorno da piccoli, insieme a odori, sapori, rumori di cucina, rappresentano per noi uno dei canali di comunicazione non verbale più grande che abbiamo a disposizione per dare una parte dei nostri ricordi e del nostro cuore a chi assaggerà.

Trattiamole con rispetto, ma allo stesso tempo con spontaneità, saranno le tecniche di trasformazione a rappresentare la disciplina che non ci farà sbagliare, naturalmente.